- 26 Settembre 2024
- Posted by: Twissen
- Categoria: Travellers
Celebrare la giornata mondiale del turismo 2024 – Turismo e Pace, riflettendo sulla differenza tra viaggiatore e turista per un “Turismo industria di Pace”.
Turismo e pace, il tema che l’UN Tourism lancia per la Giornata Mondiale del Turismo 2024. Ma il turismo è veramente un veicolo di pace? Senza dubbio è possibile suggerire una relazione causale tra turismo e pace. Nel farlo però, bisogna anche chiarire che vi sono condizioni indispensabili affinché ciò sia davvero possibile, a partire dalla seguente: la necessità di riportare il turismo alla sua essenza—il viaggio.
A quanto osservo, il turismo, nella sua forma più comune, spesso riflette – soprattutto in Occidente – un post-storicismo superficiale, una visione egocentrica che, forse inconsciamente, incarna un senso di superiorità. Al contrario, viaggiare dovrebbe significare abbattere quelle barriere e riconoscere che, in fondo, siamo tutti uguali. Ma come cambiare rotta? Come recuperare il fattore umano?
Guardando indietro, a metà di questa avventura chiamata vita, mi vedo come qualcuno che ha sempre osservato il mondo con occhi curiosi. Ho dedicato tempo tanto al viaggio che allo studio scientifico di esso. Tuttavia, non mi identifico nella figura tipica dello studioso di turismo, che ama postare nei social network foto in cui si gode mete eleganti e super trendy. La mia esperienza, sia teorica che pratica, è diversa: mi considero più un viaggiatore che un turista.
Essere turista evoca l’immagine di una persona che si muove in un mondo accuratamente costruito, dove ogni dettaglio è confezionato per creare l’illusione dell’autenticità. Il viaggiatore, invece, è colui che si lascia trasportare dal viaggio stesso, immerso nell’inaspettato e negli incontri con gli altri. Il filosofo greco Aristotele diceva: “Quando un uomo entra in una comunità e pensa di poter fare a meno degli altri, è o una bestia o un dio. Ma non è un uomo”. Se applichiamo questo concetto al turismo, possiamo notare una grande differenza, ad esempio, tra il voler entrare in contatto con la popolazione residente e il doverlo fare. Perché ti trovi solo in un posto sconosciuto, senza un tour operator o un’app che risolva i tuoi problemi. E in questa situazione, e soltanto in questa situazione, si torna alla propria natura: quella di essere umano, e quindi bisognoso degli altri. Perché non sei né un dio né una bestia!
Viaggio spesso da solo, la maggior parte delle volte per lavoro – rifuggo il più possibile il turismo tradizionale anche come pratica. Nella solitudine sei libero di perderti e di incontrare davvero la realtà del luogo. Ricordo quando mi trovai senza contatti, senza internet, senza la comodità di Google Maps, e soprattutto senza carburante (!), nel mezzo dell’altopiano iraniano, con la città più vicina a 300 chilometri. O quando mi ritrovai in Ecuador, accompagnato da un cacciatore di anaconde incontrato per caso, per raggiungere una tribù indigena dopo due giorni di cammino nella foresta amazzonica. Senza tecnologia, solo io, lui e il machete che portava con sé. Alla fine del viaggio, finalmente nel villaggio Shwar, ebbi la fortuna di assistere alla nascita di una bambina, Ya Nua, e di diventarne padrino. Ritrovarsi in una notte di fine estate con un pastorello dodicenne dagli occhi azzurri e scintillanti come le stelle di questo luogo sperduto tra la Giordania, la Siria e la Cisgiordania. No, non credo queste siano esperienze che capitano ai turisti. Questo capita a chi sceglie il viaggio, a chi decide di mettere l’incontro umano al centro della propria esperienza.
Insomma, viaggiare riporta l’essere umano alla sua dimensione più autentica. Viaggiare senza il supporto delle comodità moderne; senza quell’incontinenza consumistica; senza l’arroganza post-coloniale e post-storica della maggioranza dei turisti occidentali (che gli operatori hanno ben presto imparato a sfruttare al massimo, a dispetto di qualsiasi limite etico); essere viaggiatori piuttosto che turisti ci costringe a dipendere dagli altri, a riconoscere le nostre fragilità e – per questo – a riscoprire la nostra umanità.
Rimaniamo umani, nel senso più vero della parola. Smettiamo di essere turisti che si limitano a osservare mondi fittizi e impariamo di nuovo a viaggiare, a mettere gli incontri, la scoperta e, soprattutto, gli altri al centro del nostro percorso.
Restiamo umani, per realizzare pienamente l’aspirazione suggerita dal caro Louis d’Amore, di un turismo come industria della pace.
Fabio Carbone, Accademico, attivista umanitario, e ambasciatore dell’Istituto Internazionale per la Pace attraverso il Turismo.