- 19 Agosto 2024
- Posted by: Francesco Redi
- Categoria: Politiche & fondi
Nel contesto attuale, è sempre più comune sentire parlare di turismo sostenibile, capacità dei territori e sovraffollamento turistico o overtourism. Tuttavia, prima di entrare nel merito di queste questioni, è fondamentale chiedersi quali siano le vere priorità del turismo. Perché un territorio si apre al turismo?
Ricordiamo che il turismo è un settore economico, pubblico-privato, che per sua natura dovrebbe portare benefici al territorio e alla comunità residente. Se questo non avviene, allora c’è qualcosa che non funziona.
Oggi si parla molto di sovraffollamento delle destinazioni turistiche, di insostenibilità ambientale, di condizioni lavorative inadeguate che non permettono di trattenere e valorizzare le risorse umane all’interno del settore, e di spopolamento di città come Venezia, dove la vita normale sta diventando, a dire di molti residenti, insostenibile. Allora, perché facciamo turismo?
Sembra che il turismo sia diventato una gara a chi riesce a vantarsi di più dei propri numeri di crescita: “Quest’anno siamo cresciuti del 300%, le camere fatturano più del 400%, abbiamo incassato di più.” Ma se tutto ciò non porta benefici al territorio e alla comunità residente, qual è il senso?
I decisori turistici dovrebbero mettere al primo posto la funzione del turismo, assicurandosi che i benefici ricadano sulla comunità locale, e non solo su soggetti esterni che non hanno alcun legame con il territorio. Ho letto un articolo che riportava come due terzi del fatturato degli hotel in Italia finisca all’estero, non rimanendo all’interno dei territori. Se il turismo non genera vantaggi per il territorio, allora diventa solo un costo.
Un altro aspetto importante è che il turismo è spesso sostenuto dalla spesa pubblica: dalla sistemazione del territorio, alle strade, ai rifiuti, fino alla promozione. Pertanto, se non genera, di ritorno, utilità per il territorio, dovremmo forse chiamarlo in un altro modo.
A mio avviso, ci sono due possibili spiegazioni per questa situazione. La prima è la poca competenza: alcuni decisori non comprendono il meccanismo del turismo e si continua a seguire la logica del “numero da record”. La seconda è la propaganda: il fatto di poter vantare dati di crescita permette di comunicare successi, ma senza un’analisi approfondita dei reali benefici.
Tornando al discorso dell’overtourism, non esistono soluzioni semplici o bacchette magiche. Tuttavia, è necessario fare due considerazioni. La prima è che bisogna chiedere alla comunità residente se vuole quel tipo di turismo e quel tipo di vita cittadina, perché sono i cittadini i veri proprietari della città. È assurdo immaginare una situazione in cui i residenti, infastiditi dal turismo, siano costretti a lasciare la propria città. A chi giova?
Nei miei primi anni di lavoro nel settore del turismo, ho partecipato a riunioni con sindaci e amministratori, dove più di uno diceva: “Ma il turista non paga le tasse.” In realtà, il turista paga la “tassa” di soggiorno, che per correttezza è bene dire che è un’imposta. Ma se il cittadino è scontento e va via dalla città, chi pagherà le tasse?
Inoltre, abbiamo esempi per cui in ogni strada c’è un limite di velocità diverso. Perché c’è paura di parlare dei limiti nel turismo? Non è un’invenzione malsana, ma ne parlava un illuminato documento della Commissione Europea già nel 2007.
Riguardo all’overtourism, è chiaro che non si può risolvere semplicemente immaginando di spostare “meccanicamente” i turisti da una città come Roma verso le aree limitrofe, sperando che si innamorino automaticamente del territorio circostante. Se qualcuno decide di andare a Roma e viene dirottato altrove, è probabile che si senta ingannato.
Quindi, il lavoro da fare è diverso e richiede, tra le altre, una governance attenta, una pianificazione robusta, la creazione di reti solide, tanta formazione, un rebranding delle destinazioni e una comunicazione efficace. Il turismo deve portare vantaggi al territorio, altrimenti si corre il rischio di standardizzare le destinazioni, come è accaduto in altre località popolari. In alcune di queste destinazioni, la cucina locale è scomparsa e l’identità culturale, che era una motivazione per il viaggio, è stata sostituita da vacanze standardizzate, orientate al consumo e alla condivisione sui social.
Il lavoro da fare è assolutamente un altro …. a meno che non si decida che le grandi destinazioni diventino dei parchi a tema.
President and founder at Twissen. Manager in Local Development, Tourism Policies, EU Funds. He cooperates with several European universities, public bodies, development agencies, DMOs and enterprises.